By Published On: Marzo 19th, 2021Categories:

Share+Parenting = condividere immagini dei propri figli sui social.

Spesso viene fatto senza secondi fini, ma c’è anche chi sfrutta il fenomeno per monetizzare: è il commercial sharenting. Con quali effetti sui minori? Cosa prevede la legge?
Lo sharenting (share + parenting) è la condivisione online delle immagini dei propri figli. Quando viene fatto per monetizzare, prende il nome di Commercial sharenting. E ha diversi rischi.

 

Lo sharenting non ha sempre le stesse motivazioni: spesso i genitori sono fieri dei loro pargoli e, spesso per scarsa alfabetizzazione informatica, non si rendono conto né dell’imbarazzo che potrebbero provocare loro, soprattutto quando saranno cresciuti, né dei rischi a cui li espongono.

 

Non mancano però genitori che, al contrario, hanno competenze informatiche e di comunicazione superiori alla media e sfruttano queste capacità per guadagnare anche dalle immagini dei figli.
Il commercial sharenting è ben spiegato dall’avvocato Leah Plunkett, che evidenzia come attualmente la legge non sia adeguata a proteggere le persone dai rischi dello sharenting, commerciale o meno, in particolare negli Stati Uniti.
In Europa abbiamo il GDPR, che consente quantomeno di poter chiedere ai colossi del web di cancellare i dati che ci riguardano in loro possesso. Ma sono ancora molti i passi da fare per garantire la privacy a cui hanno diritto anche i bambini: il GDPR infatti può permettere a un adulto di cancellare informazioni, non a un genitore di condividerle in maniera indiscriminata.
Leah Plunkett estende, e non di poco, la definizione di sharenting, e include qualsiasi raccolta dei dati relativa ai figli: le app per la fertilità, i baby monitor, addirittura i servizi cloud su cui si conservano foto e filmati. Usando questi servizi, si cedono informazioni commerciali, di cui perdiamo il controllo, alle aziende. Atteggiamenti molto meno pericolosi rispetto all’esposizione delle foto dei figli online, magari corredate di nome, cognome e dettagli, ma sempre correlata ad una “schedatura” digitale dei bambini.

 

Il mondo digitale, attualmente, ha la memoria di un elefante. La soluzione è quindi una sola: condividere il meno possibile informazioni (immagini, ma non solo) sui propri figli. Anche solo per evitare che siano martellati di pubblicità mirata e confezionata per loro non appena avranno l’età per accedere a Internet senza la supervisione di mamma e papà.

 

Fonte: https://www.agendadigitale.eu

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